Il complesso monumentale di Gesù e Maria. Notizie storiche e considerazioni sulla realtà ambientale.

(L’opuscolo è stato realizzato in occasione dell’incontro organizzato dal Centro Culturambiente, in collaborazione con la Soprintendenza B.A.A.A.S. di Salerno e Avellino, con l’Amministrazione Provinciale di Avellino e col Comune di Baiano, sul tema “La collina di Gesù e Maria tra passato e futuro”- Baiano, 19 maggio 1989.

Impostazione generale e testo: Maria Grazia Cataldi.

Ricerche archivistiche e bibliografiche: Paola Apuzza, Pia Gabriella Medugno, Maddalena Picone e Maria Santoro.)

 

[…] Le estreme propaggini occidentali della catena del Partenio scendono gradatamente, disegnando dolci e verdeggianti colline, e costituiscono lo spartiacque tra l’entroterra montuoso e la fertile pianura napoletana. La posizione geografica di questa zona creava nel passato come un confine tra i popoli interni, generalmente bellicosi e poco socievoli, e le genti più libere e dinamiche delle città costiere e dei centri abitati della pianura; assumeva, però, anche una funzione di mediazione e di collegamento tra due civiltà profondamente diverse ed in perenne antitesi tra loro, determinando così un tipo di cultura multiforme eppure sostanzialmente omogenea.

Ciascuna di queste alture costituisce un punto di riferimento paesaggistico di grosso rilievo. Tutte si affacciano infatti su un vasto e assai vario panorama, che abbraccia l'intera pianura, arrivando fino a distinguere all'orizzonte il Vesuvio ed il golfo di Napoli.

Questi luoghi serbano, tra macchie di vegetazione e mucchi di pietre, ancora qualche memoria del passato, di antiche civiltà, qualche segno della storia civile e religiosa degli avi.

Mirabile sintesi dei due aspetti, quello paesaggistico e quello storico - artistico, è senza dubbio la collina di Gesù e Maria, che sovrasta il centro abitato di Baiano, dove un secolare complesso monumentale trova cornice adeguata nell' ambiente naturale che lo circonda, completandosi a sua volta nel luminoso ed ampio panorama che da lassù si gode.

Per arrivarci a piedi, partendo da via Gramsci, si può seguire  una stradina, che supera il leggero pendio iniziale della collina, diventando qua e là appena un poco tortuosa. Lentamente ci si lascia dietro la fascia dei nocelleti, interrotti a tratti da gruppi di alberi da frutta, ciliegi e peschi, e ci si inoltra tra distese di olivi distribuiti su terreni terrazzati, delimitati da pietrosi muretti a secco. Rari terreni coltivi sparsi, sufficienti per il fabbisogno familiare o per il piccolo commercio, sfruttano con semplicità gli spazi soleggiati tra un ulivo e l’altro. La collina, pressoché priva di costruzioni, se si escludono le poche strutture di supporto ai lavori agricoli, appare ancora piuttosto vergine rispetto alle alture circostanti, che si vanno già coprendo di moderne costruzioni, non sempre pienamente rispettose dell'ambiente e delle tipologie tradizionali del posto.

Seguendo le stazioni della via Crucis, tra gli ulivi resi argentati dal sole, immerso in un profondo silenzio, appare l'insieme architettonico dell'Eremo, che ha la bellezza suggestiva e vagamente rarefatta tipica dei luoghi, nei quali le vestigia di antiche architetture si fondono perfettamente con gli elementi naturali d'intorno, addirittura raggiungendo col tempo un'inspiegabile identità di tonalità e di sfumature con essi.

Antica è la Cappella di Gesù e Maria, che è sempre stata proprietà e diretta dipendenza della parrocchia baianese di S. Stefano. Essa fu visitata il 7 settembre 1615 dal Vescovo di Nola Giovan Battista Lancellotti; è infatti menzionata e descritta, coi suoi pochi e poveri oggetti d'arredo, nella "Visitatio generalis” effettuata da quel Vescovo per constatare lo stato delle parrocchie dipendenti dalla Curia. […]

Nell'opera "Nola Sacra" del Guadagni  leggiamo che essa aveva "tre altari ed altrettante campane" e che vi si celebravano "ogni anno due belle feste, cioè nel terzo giorno di Pasca di Risurrezione ed in quello di Pentecoste"; ma troviamo anche conferma della fondamentale povertà della "chiesiuola", la  quale, costruita appunto con le elemosine dei fedeli, era retta da eremiti, mentre un Cappellano vi andava regolarmente a celebrare le funzioni sacre. I tre altari sono tuttora presenti all'interno della Cappella, che ha conservato grosso modo la struttura originaria, nonostante alcuni interventi realizzati nel '700, quando il tetto fu rialzato per creare un controsoffitto a volta e furono costruiti contrafforti in pietrame, tuttora esistenti, sulla facciata principale e sui fronti laterali allo scopo di contrastare la spinta del tetto. A seguito del sisma del 1980 il tetto andò completamente distrutto e ricostruito in seguito con una struttura moderna.

Questa ristrutturazione si può forse collegare al rinnovato fervore religioso promosso da S. Alfonso dè Liguori, il quale, nel suo apostolato itinerante, fu anche a Nola, prima nel 1756 poi ancora nel 1759, ed ebbe così modo di visitare anche i centri vicini. Ne è probabilmente prova anche l'immagine, copia dell'originale, posta in alto sulla facciata della chiesa sopra la porta d'ingresso, che testimonierebbe la lotta ingaggiata da S. Alfonso e dai suoi seguaci contro il demonismo: Maria con in braccio il Bambino scaccia con una clava il demonio. Grande, del resto, era nel popolo la devozione per Maria Santissima, e si accresceva ancor di più in caso di carestie, pestilenze o calamità naturali, come per l’eruzione del Vesuvio del 1799, quando la statua della Vergine fu portata solennemente in processione per tutto il territorio baianese e per i paesi limitrofi. (notizie da «La Valle Munianense…», Appendice. Estratto dal «Libro di Memorie (sec. XVII e XVIII) di Casa Foglia di Bajano», Mugnano del Cardinale, 1986.)

Da alcuni documenti d'archivio del 1856 […] apprendiamo che ogni anno, nel mese di maggio, proprio dalla "Cappella rurale di Gesù e Maria" partiva un'importante processione della statua dell'Assunta, sotto il cui titolo esisteva presso la parrocchia di S. Stefano una Congrega, munita di Regio Assenso fin dal 28 luglio i 1758.

Il Romitorio  […] era un'opera pia laicale, i cui amministratori ci hanno lasciato documenti interessanti per ricostruirne le varie attività e per intenderne lo spirito: dai "conti morali" alla richiesta di una nuova campana, dalla nomina dei cappellani al fitto del fondo rustico detto "Oliveto". Quest'ultimo veniva dato in conduzione a seguito di subasta secondo il sistema della candela vergine, escluso il piccolo tratto "alla parte di occidente, attaccato alle mura del giardino, dovendo restare per uso dell'Eremita" . Era, infatti, questo l'orto con pozzo che coltivavano gli stessi eremiti, i quali vivevano soltanto dei prodotti che ne ricavavano e di elemosine e, quando morivano, venivano seppelliti nella cripta delle sepolture sita sotto il pavimento della chiesa.

L'organizzazione planimetrica del complesso di Gesù e Maria risponde fondamentalmente all'uso di eremo, che lo caratterizzava forse già prima del sec. XVII. All'asse ideale che collega cappella, locali ad uso abitativo e campanile, si affiancano due aree adibite ad orto-giardino, perimetrate da un muro di cinta, che disegna una planimetria grosso modo rettangolare. L’insieme architettonico risulta, dunque, composto della sequenza piuttosto regolare dei volumi della chiesa, della struttura abitativa e dell’emergenza terminale del campanile.

La cappella, dedicata alla Madonna del Soccorso, è a pianta rettangolare ed ha le pareti ritoccate da cornici che, con geometrie semplici, inquadrano i tre altari in muratura, dei quali quello centrale è sormontato da un incasso che ospitava un quadro di grosse dimensioni, mentre ciascuno degli altri due laterali da una nicchia ricavata nello spessore dei muri. Alcune scritte - sulle pareti corte documentano l'uso di tumulare "in loco" anche i sacerdoti della Congrega di Carità.

(N.d.A: All'interno di una delle stanze del piano terra dell'eremo è venuto alla luce un affresco risalente al XVI secolo raffigurante la natività, la cui parte centrale è andata irrimediabilmente perduta. E’ visibile il volto della madonna, alla cui sinistra si intravede la testa di San Giuseppe seguito da un francescano. Nella parte superiore domina la figura di una colomba, che rappresenta lo Spirito Santo, con tre cherubini, sovrastati dal monogramma IHS (Iesus Hominum Salvator) con una croce sulla H e dal monogramma M (Maria), inscritti in un sole.)

Posteriormente alla chiesa si sviluppa l'abitazione su tre campate e su due livelli, che si affaccia sull'orto con due arcate sovrapposte, leggere ed eleganti, realizzate con materiali di spoglio e decorate con motivi stilizzati.

Il corpo finale della costruzione, leggermente sporgente rispetto alla facciata sinistra del complesso, [N.d.A. : dà luogo all’antica cappella con la volta in pietra, al centro della quale è posta una croce realizzata con le stesse pietre, databile a prima dell’anno mille, simbolo inequivocabile della vita eremitica; ed ] è infine rappresentato dal campanile, la cui copertura a cuspide, rifatta in cemento armato, si vede spuntare tra gli olivi anche dal centro del paese sottostante. In passato il suono delle sue campane costituiva di certo un valido punto di riferimento, rassicurante e stimolante insieme, per popolazioni capaci ancora di trovare nel lavoro, nella religione, nelle tradizioni, valori tali da dare un senso alla propria vita, spesso difficile e misera.

[N.d.A. : Al restauro fisico della struttura si è accompagnata l’opera di valorizzazione, grazie all’impegno di Suor Maria Costanza Crisafulli, dell’Ordine degli Eremiti dell’Accoglienza, donna di forte fede religiosa, che ha ridato  normalità di vita all’intero sito, e grazie alla sua eccellente arte nel raccontare  temi sacri su tavolette lignee, avvalendosi della tecnica del “decoupage”, ha arricchito con molteplici elementi l’intera area dell’ Eremo, tra cui le quattordici stazioni della Via Crucis, che fanno da guida verso il sacro complesso.]

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            Forse è la suggestione delle antiche mura; forse è la luce pastosa e morbida di un sole al tramonto, che avvolge in un’atmosfera quasi irreale i tronchi contorti degli olivi; forse il rintocco lontano del Vespro o lo scalpiccio ormai lieve di pecore belanti che tornano, lungo sentieri ben noti, all’ovile; forse è tutto ciò insieme, che richiama alla mente la figura emblematica e mitica di Virgilio, il quale conobbe questi luoghi e li amò, trovandovi il clima spirituale adatto per vivere in pieno l' «otium» più produttivo e fecondo. Fu nel “dolce grembo di Partenope”, infatti, che il poeta compose le Georgiche, un inno alla campagna o meglio una celebrazione del lavoro nei campi. Nel suo curioso ed attento girovagare attraverso il fertile e operoso mondo contadino dell'entroterra campano, Virgilio, oltre a rinvenire erbe mediche e ad apprendere usi e costumi locali, si avvicinò con sentimenti di simpatia e di solidarietà alla gente dei campi, della quale vedeva il duro lavoro e la grande povertà, ma della quale intuiva la non comune prerogativa di poter attingere a quell'interiore felicità, che costituiva per lui un 'insopprimibile dimensione dello spirito. È qui dunque che Virgilio dovette comprendere come davvero il destino dell'uomo potesse realizzarsi nella riscoperta della natura e delle risorse della terra, lontano dal turbine della vita politica e dalle ambizioni cittadine, nel sano piacere di lasciare scandire dalla luce del sole e dall'avvicendarsi delle stagioni le fasi del proprio lavoro e della propria vita.

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Con decreto del 23 luglio 1988 il Ministro V. Bono Parrino ha vincolato come zona di rispetto l’area circostante ed il complesso monumentale di Gesù e Maria.

 

   
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